Chiesa di San Giuseppe

Venerdì 19 marzo 1993: è la data della solenne consacrazione della Chiesa di San Giuseppe. L’architetto Luigi Caccia Dominioni preferisce chiamarla” Chiesa di San Giuseppe ai Prati Grassi”,conservando nel toponimo una sensazione positiva e felice.Si consacrava una nuova chiesa in Morbegno dopo ben 213 anni dalla Collegiata di San Giovanni Battista. Mi piace ricordare che alla cerimonia di consacrazione, officiata dal Vescovo di Como Monsignor Alessandro Maggiolini, presente il Sindaco pro tempore Ambrogio Salvadori, c’era a fianco di Monsignor Antonio Marchesini l’allora Vicario Episcopale per la Valtellina Monsignor Alberto De Maron, ora Arciprete di Morbegno. Monsignor Marchesini aveva fortemente voluto che una chiesa fosse un punto fermo nel nuovo agglomerato urbano nato dall’operosità e dall’intraprendenza della città, e che venisse dedicata a San Giuseppe Lavoratore. Il quartiere si era venuto a creare dopo le diverse fasi espansionistiche di Morbegno legato all’arrivo della ferrovia a fine ‘800, all’apertura di Via Ambrosetti, all’apertura della strada statale e poi con la costruzione di nuove case nell’area Nord. All’architetto Luigi Caccia Dominioni figlio di Ambrogio, già Sindaco di Morbegno, fu affidato il progetto; alla ditta zecca Prefabbricati di Cosio Valtellino l’esecuzione dei lavori, intrapresi nel 1988. 

Luigi Caccia Dominioni si era già occupato di Morbegno con un progetto di raccordo tra aree vecchie e nuove della città, presentato ad un concorso bandito intorno al 1940. E poi,negli anni 1965-1966 ,aveva progettato la Biblioteca Civica, realizzata con i sassi levigati del Bitto, felice preludio all’odierno edificio sacro. Come del resto, la nuova chiesa di Paniga.

La chiesa di San Giuseppe sorge su lieve pendio all’incrocio tra le grandi coordinate viarie Via V alpini e Viale Forestale,dove un nuovo centro residenziale, commerciale e di servizi ha ormai assunto una sua fisionomia. L’edificio non invade il tracciato stradale ma vi si accompagna; non sfida verticalmente le vette circostanti, ma modula le proprie forme all’andamento del terreno, al profilo delle montagne tagliate contro il cielo ”…così bello quand’è bello”. L’architetto, andando un po’ contro la tendenza dell’architettura del razionalismo ed un po’ sposando l’architettura organica, è molto attento ai caratteri del paesaggio e dell’ambiente in cui è inserito il manufatto.Tuttavia agli occhi di molti l’edificio appare come un qualcosa di estraneo :troppo moderno,troppo spoglio,troppo grigio…troppo diverso dalle chiese a cui si è abituati. Anche Monsignor Marchesini temeva questa reazione. Direi che questa reazione è molto normale, ma occorre andare un po’ più in profondità. Considerare che ogni epoca ha i propri “oggetti artistici” è già un piccolo passo avanti. Osserviamo una pianta della chiesa tratta dal progetto: l’occhio corre sciolto per poi raccogliersi in volute che abbracciano il portico, la cappella feriale, il campanile, il presbiterio. L’organizzazione spaziale avviene per flussi di linee curve, sinusoidali, ovali, che sono caratteristiche ferme dell’architettura di Luigi Caccia Dominioni. Osserviamo l’esterno: l’avancorpo del portico sembra aspirare la corona aperta del blocco architettonico dove oggi hanno sede gli uffici finanziari, e rimanda al dolce profilo del tetto che si distende come un mantello sulle strutture che contengono l’ecclesia dei fedeli. Il portico viene incontro al fedele, lo accompagna all’interno; lo sollecita verso l’interno con la spinta di un secondo portico. Il tetto dalla grondaia arrotolata si dirige verso lo spazio aperto dell’alta valle e vira ad avvolgere il campanile per poi sfumare e concludersi. Il completamento del campanile è stato,per l’architetto, un momento di discussione interiore: ”...ci sarà una grande croce parafulmine. E questo ha un senso simbolico evidente. Il parafulmine attira su di sé i fulmini per neutralizzarli, così come Gesù sulla croce attira su di sé tutti i peccati dell’uomo per redimerlo. In secondo luogo un segnavento con lo stemma della città di Morbegno e quindi una antenna parabolica per ricevere, ad esempio, i discorsi del Papa e degli altoparlanti per diffonderli. Non ho ancora deciso per le campane, se lasciarle all’aria aperta o se coprirle con un tetto in rame”. Restano gli schizzi a testimoniare l’ansia di decidere. Oggi la struttura è un’armonica realtà. Tanta cura dedicata ai particolari, qui ed anche negli altri spazi della chiesa, non è che l’altro aspetto del metodo di lavoro di Luigi Caccia Dominioni che dichiara “…di aver voluto essere anche designer, per poter essere compiutamente architetto”. Guardiamo il balconcino che si affaccia su via Monsignor Danieli: leggero, quasi un pizzo, che ritroviamo a guarnire le scale interne, le scale esterne, i coronamenti, le soste… I balconi sono una firma nei progetti di caccia Dominioni: li disegna, li accarezza ,li cura, li modula… sempre nuovi ma sempre stilisticamente riconducibili. Le linee del disegno nel progetto teorico ed il movimento del profilo della costruzione richiamano ancora alcuni passi dell’intervista all’architetto curata dal giornalista Franco Monteforte ”… io ritengo che l’uomo si muove essenzialmente per linee curve. Non esiste un percorso umano rettilineo. L’uomo non cammina per linee rigidamente rette… ma per linee circolari, ovali o sinuose che siano. Questa forma propria del movimento umano è matrice della forma architettonica “. E così i muri perimetrali vengono investiti dalla luce o coperti d’ombra a seconda del mutare del movimento delle forme. Ed il colore? “L’architettura sorge e nasce dal luogo e sul luogo, il colore giusto è quello della terra su cui sorge l’edificio… ho fatto ricorso ai materiali del posto. Ho fatto fare gli scavi e ho fatto triturare le pietre estratte nello scavo..”. Arte e tecnica si sono incontrate felicemente per produrre, con calcestruzzo e ghiaia del Bitto, i pannelli prefabbricati che si incastrano disegnando sulle pareti dentro e fuori,lievi segni di croci.

Entriamo.

Ci accompagna un pavimento di porfido che porta fin dentro. C’è un ritmato passaggio dalla penombra del portico alla luce dell’aula . L’unica luce diretta piove dal lucernario nel presbiterio, investe l’altare una luce metafisica, geniale come la luce del Bernini “fa cadere” sull’estasi di Santa Teresa nella cappella Cornaro in Santa Maria della Vittoria, a Roma. Dai tagli verticali laterali entra una luce che non disturba; gli specchi delle finestre permettono la visione del paesaggio circostante. ”Preferisco che appaia la natura…”. La natura si sostituisce alle vetrate policrome. Luigi Caccia Dominioni si rivela soprattutto architetto di interni suggestivi: le linee–forza dell’aula spingono lo sguardo verso l’altare e, controluce, tre grandi travi inclinate, in calcestruzzo a vista, si innestano in una traversa orizzontale “, incrocio drammatico, quasi una crocifissione”, resa ancor più dolente dai ferri dell’armatura, bulloni e viti sporgenti. Pregnante di simbolismo essenziale ed immediato, il riferimento al sacrificio di Gesù diventa il punto focale di tutta la chiesa. Affreschi, polittici, ancone, mosaici… non servono più; quella grande croce, inclinata come la croce miracolosa dell’affresco di Piero della Francesca nella chiesa di san Francesco ad Arezzo, inquieta e chiama dalla solitudine l’uomo contemporaneo.In silenzio ed in penombra, può ritrovare se stesso e riconoscersi senza essere distratto dagli arredi e dai quadri.” Non è facile accettare questo silenzio iconografico. Parlano tante piccole cose “: le minime croci della Via Crucis, il recinto del pulpito, la ieratica figura di San Giuseppe, copia del bassorilievo realizzato da Giacomo Manzù per la chiesa del Sacro Cuore dell’Università cattolica di Milano; parlano l’acquasantiera ed il porta-cero pasquale scavati, ”levati”, dal sasso trascinato a valle dal Bitto; soprattutto parla la porta in ferro in cui la luce ritaglia una croce che si dissolve nella luce …L’architetto ha disegnato anche i confessionali ed i banchi, non quelli provvisoriamente oggi in uso. Altri banchi, da pensare per il futuro. Ne ha previsto il numero (possibilmente 387) e la disposizione a raggiera. Non ha mai smesso di essere anche designer ma soprattutto non ha mai smesso di essere intimamente cristiano e uomo di grandi valori spirituali. Egli li ha espressi particolarmente nei suoi progetti di architetture legate al sacro come il convento di Viboldone (Milano) presso l’Abbazia delle Suore benedettine, la chiesa di San Biagio a Monza, il convento di Poschiavo e, infine, nella nostra chiesa di san Giuseppe che consegna Morbegno alla Storia dell’Arte.

Testo di Evangelina  Laini

dal volume Scritti d’Arte su Morbegno e la Valtellina di Giulio Perotti