Chiesa di San Martino

La chiesa di San Martino è legata alle origini della comunità di Morbegno. Documentata dal sec. XII, con la cappella di Santa Maria di Talamona, divenne autonoma dalla pieve di Ardenno sul finire del secolo XII, in quanto appartenente al monastero comasco di S. Abbondio, come conferma un successivo atto del 1208. Fu quindi la prima chiesa parrocchiale di Morbegno, gradualmente sostituita, per la sua lontananza dal borgo, dalla chiesa di S. Pietro nel Trecento e, successivamente, dalla chiesa cinquecentesca di S. Giovanni Battista e poi dall’attuale.

Alla chiesa di S.  Martino rimase sempre legato il culto dei defunti sepolti nel cimitero circostante, tanto che venne “reffatta tutta di novo l'anno 1566 con tre navi et quattro collonne" (F. Ninguarda). 

L’edificio si presenta all'esterno di dimensioni ridotte in altezza, con copertura a capanna che comprende il portico davanti alla facciata a tre arcate sostenute da pilastri (di cui si parla per la prima volta nel 1718). Alle massicce pareti rimangono affisse lapidi mortuarie che rendono ancor più evidente l'inserimento della chiesa nell'ambiente cimiteriale circostante, dove sono raccolte piccole tombe fra le quali si eleva, a nord-est, una grande, croce in ferro, secondo le prescrizioni post-tridentine, a cui sono appesi gli strumenti che ricordano la passione. 

Sulla facciata della chiesa, semplicemente scandita da due lesene, si conserva a sinistra un piccolo affresco che rappresenta S.Martino a cavallo che dona il mantello a1 povero (di fattura rinascimentale), mentre è scomparso coi restauri degli anni Novanta un analogo affresco settecentesco con S. Giorgio e il drago.

L'interno, avvolto in un 'atmosfera di sereno raccoglimento, si presenta come un 'aula di forma quadrangolare, scandita da tre navate, sorrette da quattro colonne in granito, con volte a crociera decorate in monocromo dal pittore Angelo Greco di Morbegno nel 1842, per iniziativa del "Consorzio dei Benefattori in Roma dei Fedeli Defunti della Chiesa di S. Martino".

L'altar maggiore, in marmo, con due colonne tortili, è stato donato dagli emigranti a Napoli, come testimonia la scritta "Neapolis et patriae suffragiis". La pala con S. Martino a cavallo che dona il mantello al  povero è opera documentata di Giacomo Paravicini di Caspano, detto il Gianolo (1660-1729), uno dei più insigni artisti locali, attivo non solo in Valtellina ma anche in ambito lombardo, soprattutto a Milano.  Le due cappelle laterali, con altari barocchi in marmo, sono dedicate (a sinistra) alla Madonna di Loreto, effigiata sulla pala, e, a destra, a S. Stefano, col Martirio del Santo effigiato sulla pala. Altre tele presenti nella chiesa e in sacrestia, comprese le 14 stazioni della Via Crucis donate nell’Ottocento dagli emigranti a Roma, sono state asportate in attesa di restauro. Tra di esse, già restaurata la grande tela col Martirio di S.Stefano firmata dal milanese Giovan  Pietro Gnocchi, 1591, ora esposta nella collegiata di S. Giovanni Battista.  

Sulla parete sinistra della navata è oggetto di devozione un affresco dellaMadonna col Bambino e un offerente, attribuibile al bresciano Vincenzo de Barberis (prima metà del '500). A fianco, un confessionale sovrastato dal pulpito, dello steso stile del confessionale contro la parete opposta, di fattura settecentesca, recentemente restaurati. Sopra il confessionale di destra, la cantoria con l'organo, non elettrificato e in disuso, proveniente dalla chiesa di S. Antonio. Nel 1737 era presente un 'organino portatile e nel 1752 "un organino di 5 registri con sua cantoria". 

Nella sacrestia, i pochi arredi rimasti sono conservati in armadi di fattura settecentesca, che testimoniano la ricchezza della chiesa. 

La presenza di una "campana grossa" è ricordata già nel 1357, ma il campanile ha assunto la forma attuale nel 1766: evidente il gusto barocco nelle decorazioni, nelle balaustre della cella campanaria e nel cupolino.

Appartiene all’antica area cimiteriale il grande ossario con portico e decorazione a fresco, costruito attorno al 1750.